ROMA – “Fonte di ispirazione, maestra umile, una rara sensibilità verso le ingiustizie”. Ma, soprattutto, una “ribelle, sempre allegra e positiva”. Le parole di Thomas Viehweider, membro del Collettivo Italia Centro America (Cica), pennellano il ritratto di Berta Cáceres, leader del popolo lenca, co-fondatrice e direttrice del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh) uccisa nella sua casa a La Esperanza nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016 per le sue lotte in prima linea contro la costruzione della centrale idroelettrica di Agua Zarca, nel nord-ovest del Paese centroamericano.
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UNA LUCHADORA SOCIAL PER I DIRITTI DEL POPOLO LENCA
Una ‘luchadora social’, lottatrice sociale, la definisce sua figlia Bertita, e così ama ricordarla anche Viehweider in un’intervista all’agenzia di stampa Dire realizzata a pochi giorni dal quinto anniversario dalla sua morte e dalla pubblicazione del libro-inchiesta della giornalista Nina Lakhani ‘Chi ha ucciso Berta Cáceres?’, sugli scaffali delle librerie italiane grazie alla casa editrice indipendente Capovolte.
Ricostruzione coraggiosa in 381 pagine della vita dell’attivista, dalla sua infanzia, ultima di dodici figli, all’incontro con l’ex marito, Salvador Zuniga, padre dei suoi quattro bambini e compagno di lotta nella fondazione del Copinh (1993). Fino alle imprese nella difesa dei diritti e della terra del popolo lenca, che le valgono nel 2015 il Goldman Environmental Prize assegnato ogni anno agli attivisti ambientalisti e che, solo un anno dopo – ma in realtà da molto prima – la fanno diventare bersaglio di minacce e ‘attenzioni’ da parte della Desa, l’impresa incaricata di costruire la diga lungo il rio Gualcarque.”Questa diga è solo uno dei 49 progetti estrattivisti concessionati nei territori indigeni honduregni- spiega alla Dire Viehweider- Il Copinh, con la sua forte organizzazione territoriale, è diventato in oltre vent’anni un problema per le imprese che li vogliono sfruttare. Nel caso del progetto Agua Zarca è la Desa, che fa capo agli Atala Zablah, una delle famiglie più forti dell’oligarchia nazionale che ottengono finanziamenti dal Banco centro-americano di sviluppo e anche da banche europee per questo progetto idroelettrico”.
LA LOTTA CONTRO IL MODELLO ESTRATTIVISTA
Ed è proprio nell’intreccio tra “interessi e capitali transnazionali e locali” e quello che Lakhani in un capitolo del libro definisce “lo Stato criminale”, che Berta incontra i suoi assassini, nella lotta “contro il modello di sviluppo estrattivista di stampo neoliberale, l’impatto della globalizzazione sui popoli originari e il sovrastamento continuo dei loro diritti elementari, per cui si batteva”, sottolinea Viehweider. Non certo l’unica battaglia di Cáceres, che “si opponeva anche al patriarcato” legandosi nell’analisi “all’anticapitalismo e all’antirazzismo”, fino all’istituzione, all’interno del Copinh di “un gruppo che si occupava di questioni Lgbt”.
Con tenacia riesce a ottenere “la ratifica della Convenzione Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) 169 per la tutela dei popoli originari, un grande successo del Copinh, perché permette un consenso libero preventivo delle comunità prima delle autorizzazioni di questi maxi-progetti”, che però “viene sempre violato”. E poi gli “oltre 200 titoli comunitari sulla terra”, con cui l’organizzazione “ferma vari progetti, che non avrebbero portato a uno sviluppo delle comunità indigene, ma solo profitto per gli investitori”.
“Berta non era solo un’ambientalista, ma una politica radicale che trasmetteva una forte volontà di cambiare le cose, dopo un’analisi profonda dell’impatto delle politiche neoliberali con i processi organizzativi delle comunità indigene- precisa il membro del Cica che conosceva personalmente la leader del Copinh- Lottava per la rifondazione dell’Honduras, per i diritti del popolo lenca e di altri popoli indigeni, contro le politiche neoliberali e il sistema patriarcale. Se tu togli l’habitat a una comunità indigena, quella comunità non esiste più. Quindi è una lotta per la sopravvivenza del popolo lenca, non per difendere un fiume”.
NEL SUO LIBRO NINA LAKHANI RICOSTRUISCE INDAGINI E PROCESSO
Minuziosa la ricostruzione di Lakhani anche su indagini e processo, che nel dicembre 2019 mandano alla sbarra sette persone: Elvin Rapalo, Edilson Duarte, Oscar Torres, Henry Javier Hernandez, come sicari dell’omicidio; Mariano Diaz, Sergio Rodriguez e Douglas Bustillo – ‘intermediario’ in collegamento con la Desa, come riporta il libro inchiesta – per aver assoldato i sicari. E i mandanti? David Castillo, che della Desa era dirigente, è “sinora l’unica persona accusata di aver ideato il delitto”, ricorda nelle ultime pagine del libro la giornalista, attualmente corrispondente per la Giustizia ambientale per ‘Guardian Us’.
“I proprietari, però, sono la famiglia Atala Zablah, una delle più potenti in Honduras, attiva nel settore finanziario ed energetico. Si suppone che siano stati loro a dare l’incarico a David Castillo”, ricorda Viehweider che parla di “diversi livelli. Nina nel libro descrive magistralmente la struttura dello ‘Stato criminale’, di cui si può parlare ancora di più dopo il colpo di Stato del 2009 da parte dell’oligarchia nazionale contro il presidente Manuel Zelaya”. I due presidenti che si sono succeduti, Pepe Lobo e Hernandez, “sono strettamente legati al narcotraffico- aggiunge l’attivista del Cica- Il fratello di Juan Orlando Hernandez nel 2019 è stato condannato per il traffico di 220 tonnellate di cocaina da un tribunale di New York e lo stesso figlio del presidente precedente, Pepe Lobo, è provato che scortava personalmente tonnellate di cocaina. Non stiamo parlando di un Paese del sud del mondo dove il narcotraffico è fortemente presente, ma dove chi fa il narcotraffico è il governo stesso, la famiglia del presidente. Questi progetti energetici venivano poi utilizzati per lavare i fondi del narcotraffico”.
Non solo. “È anche provato- continua l’attivista- che la campagna elettorale dell’attuale presidente è stata finanziata con milioni di dollari dal narcotraffico, dal chapo Guzman, dal cartello di Sinaloa messicano e da altri cartelli locali come Los Cachiros”. Insomma, “lo Stato honduregno è un narcostato e noi del Cica da anni denunciamo in sede istituzionale le violazioni dei diritti umani in Honduras, soprattutto del diritto alla terra, al consenso libero preventivo delle comunità indigene e del diritto territoriale”. Dalla notte di sangue del 2016, i lavori per la costruzione della diga sono fermi. Ciò nonostante “la concessione è tuttora in vigore- denuncia Viehweider- Una delle richieste più forti della famiglia, oltre a giustizia per Berta, è continua a leggere sul sito di riferimento