GENOVA – Manifestazione dei lavoratori ex Ilva stamattina a Genova, in vista dell’assemblea degli azionisti di Acciaierie d’Italia che il prossimo 23 novembre dovrebbe decidere il futuro della governance e della produzione di tutto il gruppo. Assemblea stamattina all’interno dei cancelli della fabbrica di Cornigliano, poi corteo dentro stabilimento e, infine, manifestazione all’esterno con il blocco per poco meno di un’ora della rotonda che immette all’aeroporto Cristoforo Colombo.
L’ASSEMBLEA DEL MATTINO
“Meglio una lotta disperata, che una disperazione senza lotta”, recita lo striscione che apre la protesta. “Siamo entrati in una fase molto delicata: un po’ alla genovese, vogliamo mandare un segnale“, spiegava il coordinatore della Rsu per la Fiom, Armando Palombo, all’inizio della mattina. “Siamo di nuovo qui. Abbiamo un sacco di problemi, non abbiamo più nulla per tenere in piedi questo stabilimento che si regge solo sullo scotch. Ci hanno detto che non chiuderemo, ma manca pochissimo a che gli impianti si fermino da soli“, aggiunge Nicola Appice, Rsu Fim Cisl.
“Con il 23 novembre si arriva alla fase in cui tutti i nodi vengono al pettine– sottolinea il segretario generale della Fiom Genova, Stefano Bonazzi- veniamo da uno sciopero compatti a Roma il 20 ottobre, sembrava che qualcosa si fosse mosso, ma di quello non è rimasto nulla: acqua sul marmo. Noi non tifiamo per nessuno: chiunque sia il padrone deve iniziare a metterci i soldi, altrimenti il rischio è che qui l’impianto si spenga. Abbiamo dato tempo un anno prima di discutere di altro, ma non sappiamo se ci arriviamo”.
Ma è il segretario nazionale della Fim Cisl, Valerio D’Alò, a metterci il carico da novanta. “È un governo che non sa neanche dove sta camminando. Devono farci capire di che cosa stanno trattando e qual è il destino del gruppo Ilva. È troppo facile dire che vogliono salire al 60% della proprietà, come dice da un anno il ministro Urso, e poi accorgersi che non ci sono i soldi che servono, come dice il ministro Giorgetti: buongiorno”. Quindi l’invito a “tenere alta la tensione fino al 23. Il governo vuole scoprire le intenzioni di Mittal, ma noi vogliamo scoprire le intenzioni del governo. Non ci sono alibi per nessuno: una situazione così confusa non l’ho mai vista”.
‘PRONTI AD ANDARE A MILANO IL GIORNO DELL’ASSEMBLEA’
E’ lo stesso D’Alò che annuncia: “Stiamo cercando di capire in queste ore, perché ce lo tengono ancora nascosto, se l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia il 23 novembre è in presenza e dove la fanno. Se sarà a Milano in presenza, noi saremo là sotto in presidio a dire a chiunque siede a quel tavolo, parte pubblica e parte privata, che non deve decidere nulla senza i lavoratori”. Il sindacalista invita a “non mollare di un millimetro e restare tutti insieme: questa è una vertenza di chi da tempo ha detto no a vivere di ammortizzatori sociali“.
D’Alò aggiunge che “so quanto pesa una giornata di sciopero, so quanto è difficile quando ne fate due in un mese e sullo stipendio mancano più di cento euro perché l’ho patito assieme a voi. Ma non stancatevi perché loro certe battaglie vogliono vincerle anche sullo sfinimento dei lavoratori. E noi questo non lo dobbiamo consentire”.
IL CORTEO DENTRO E FUORI LA FABBRICA DI CORNIGLIANO
Poi, l’assemblea si trasforma in un corteo, prima all’interno della fabbrica, poi all’esterno, bloccando per un’ora la rotonda dell’aeroporto. “È stata una giornata importante: Genova si è mobilitata per prima perché vogliamo mandare un messaggio forte alla proprietà e al governo, che non sta facendo il suo dovere”, dice Armando Palombo, tracciando il bilancio della mattinata. “Noi abbiamo fretta, gli impianti hanno fretta, la produzione deve partire: non possiamo più aspettare“, rimarca.
Il metalmeccanico ricorda che “il 23 si voterà il destino di questo gruppo e di questo stabilimento, a cui noi siamo molto attaccati perché è il nostro pane e il nostro lavoro. Da qui al 23 rimaniamo in stato di agitazione, pronti a qualsiasi iniziativa”. L’obiettivo primario di lavoratori e sindacati, sottolinea Palombo, è “salvare il salario. Se non ce lo salva questa azienda, ci rivolgeremo altrove. Gli abbiamo dato un anno, ma il tempo passa: non vorremmo mai dover utilizzare il piano B”. Il riferimento è a una revisione dell’accordo di programma, più volte evocato anche dalle istituzioni locali, che potrebbe portare a una sottrazione delle aree di Cornigliano allo stabilimento ex Ilva in favore di altre realtà produttive che potrebbero assorbire parte dei lavoratori.
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