giovedì, 11 Luglio , 24

Io, ispettrice del lavoro discriminata durante una verifica

Io, ispettrice del lavoro discriminata durante una verifica

BOLOGNA – Le discriminazioni di genere? Possono colpire non solo le lavoratrici di un’azienda, ma anche l’ispettrice del lavoro che entra in quell’azienda per le verifiche del caso. A raccontare la vicenda è Valeria Moscardino, ispettrice del lavoro di Parma (e anche Consigliera di parità a Modena), che ha partecipato a un convegno online organizzato per l’8 marzo dalla Fiom-Cgil dell’Emilia-Romagna.

Il caso in questione, riferisce Moscardino, parte dalle segnalazioni della lavoratrice di un albergo che, pur essendo madre, si è ritrovata a vedersi assegnare continui turni serali. L’ispettrice si è recata sul posto per interloquire con il responsabile “e garantisco di aver subito io stessa una discriminazione perché, dopo essere entrata con il mio tesserino, sono passata da ‘ispettrice’ a ‘dottoressa’, poi a ‘signorina’ e infine a ‘ragazza’. Questo l’excursus in tre ore di accertamento”. Per quanto riguarda la situazione lamentata dalla lavoratrice, continua Moscardino, l’uomo ha risposto così: “È lei che ha tradito la mia fiducia. Ha fatto un figlio e poi un altro. Cos’altro posso fare?”. L’iter ispettivo “non è ancora concluso ma dal punto di vista umano è stato un fallimento”, racconta Moscardino: “Nella stessa struttura lavora anche il marito e quindi la lavoratrice ha deciso di dimettersi, per non creare ulteriori ritorsioni”.

Moscardino, poi, ricostruisce il caso di un’altra donna che si è presentata all’Ispettorato “come un fantasma”: si tratta di una persona sposata con il suo stesso datore di lavoro, che all’ispettrice ha raccontato di essere da molti anni inquadrata con un contratto part time pur lavorando molte più ore. La donna è anche socia dell’impresa, “ma il datore di lavoro non le dà uno stipendio e non c’è mai stata una ripartizione degli utili”, spiega Moscardino. In più, la donna ha raccontato di essere continuamente “umiliata con parole violente e insulti”, ma anche “presa a schiaffi” sia a casa che sul lavoro. Tant’è che, secondo l’ispettrice, tra le tante iniziative legali che si possono prendere per un caso del genere “bisogna partire da una denuncia penale per violenze e percosse”, per poi affrontare i temi più prettamente lavorativi e societari. Fatto sta che al momento “mi sento impotente”, ammette l’ispettrice.

Anche Stefania Mangione, avvocata del lavoro a Bologna, racconta la vicenda di una donna dipendente dell’azienda del marito: “Il datore di lavoro sostiene di aver dato alla lavoratrice diversi anticipi sul Tfr arrivando quasi a consumarlo”, ma questi acconti “venivano versati dal marito, legale rappresentante dell’azienda, su un conto corrente intestato al marito stesso e a cui la moglie non aveva accesso”. La causa è ancora in corso. Riguarda la Riviera, invece, il caso segnalato dalla Consigliera di parità dell’Emilia-Romagna, Sonia Alvisi. Si parla di una donna impiegata in un albergo che un giorno si è ritrovata senza la camera che le era stata assegnata per dormire, perché serviva per i clienti. A sera, questa la ricostruzione di Alvisi, è venuto fuori che la soluzione per l’albergatore era far dormire la donna e un’altra lavoratrice nel suo appartamento: “Io e te ci accomodiamo nella matrimoniale e nella singola va la collega”, è la proposta fatta dall’uomo e riferita dalla Consigliera di parità. La donna ha rifiutato e sono state le due colleghe a dormire nella matrimoniale ma, riferisce Alvisi, dal giorno dopo la lavoratrice ha cominciato ad essere “costantemente ripresa, offesa e umiliata davanti a colleghe e clienti”. Fino a che un giorno la donna ha avuto una crisi di nervi ed svenuta, ricevendo per questo altre offese.

A quel punto, la donna ha abbandonato il lavoro, ma poi si è rivolta alla Consigliera di parità. “Ho convocato il datore e appena è entrato nella stanza- riferisce Alvisi- ha detto di non comprendere le motivazioni della convocazione ma ancora meno la mia figura”. Alla fine, la donna ha ottenuto tutte le retribuzioni che le spettavano fino a fine contratto “e il riconoscimento del danno subito per le molestie e le umiliazioni pari a 15.000 euro”, conclude Alvisi.

Tra le testimonianze c’è anche quella di Valentina Bergami, lavoratrice della Cefla di Imola, che racconta i “mesi durissimi” trascorsi nel dubbio di perdere il lavoro dopo aver scoperto di essere incinta, avendo un contratto interinale: la Fiom ha poi ottenuto un accordo per il reintegro, ma intanto “la cosa più brutta è stata non ricevere la comprensione di altre donne”. Infine Sabina Mignani, delegata della Marchesini, segnala un caso di “bullismo di genere” avvenuto a fine 2020, “da parte di una persona con incarichi di responsabilità nei confronti di un collega omosessuale”. Episodio che “ha portato alle dimissioni della persona offesa che purtroppo non ha chiesto aiuto alla Rsu”, continua Mignani: l’azienda ha “condannato” il fatto durante la riunione dei dipendenti ed ha assicurato “opportuni provvedimenti” nei confronti del responsabile. Ma in realtà “siamo ancora in attesa di conoscere i dettagli”, aggiunge la delegata, mentre intanto “ci risulta che questa persona abbia avuto mansioni di responsabilità in una partecipata”. Mignani, poi, contesta all’azienda di aver “rifiutato lo smart working per gestire i figli a casa per le scuole chiuse”, causa pandemia, “optando per un servizio di baby sitting pagato che però ha coinvolto circa 30 famiglie e dunque un numero chiaramente esiguo rispetto ai dipendenti”.

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