ROMA – Stasera il presidente Emmanuel Macron parlerà a tutti i francesi ma non dirà quello che, almeno stando ai sondaggi, la grande maggioranza del popolo vuole: che se ne vada, che molli la poltrona e torni alle sue occupazioni tanto saranno sempre ben retribuite.
Lui non ci pensa proprio, terrà salda la sua poltrona e per questo userà parole magari di allarme per la situazione finanziaria del Paese ma solo per prendere tempo, annacquare. Perché, come diceva il grande vecchio italiano Giulio Andreotti, che appare essere oggi suo ‘maestro’ di riferimento, “è sempre meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.
E chissenefrega di tutto il resto. Ormai è evidente, Macron ha fatto il salto: dall’egocentrismo è passato lesto allo stadio narcisistico, che in genere porta guai a tutti quelli che da questi dipendono.
Tutti i politici, con varie sfumature, sono egocentrici. Ma l’egocentrico, pur mettendosi sempre in primo piano, almeno si circonda di collaboratori, sta a sentire quello che dicono e magari prende spunto. Il narcisista davanti ha solo uno specchio che riflette se stesso, tutti gli altri sono ostacoli, inutili se non pericolosi oggetti che ostacolano l’immagine.
Macron sin dall’inizio è stato salutato e visto come il ragazzo prodigio, persona dotata di grandi potenzialità. Per qualche anno questa storiella ha retto poi è finita.
Si è visto che le sue promesse non sono state mantenute, che per lui potere e prestigio contano assai più che i risultati a favore del popolo, o magari almeno dei cittadini che lo avevano votato.
Niente, quello che sempre più si è visto in questo ultimo anno è che Macron si è solo preoccupato di rimanere al ‘centro’ della scena, pur se i suoi elettori ormai se ne sono andati altrove. Colpa anche della supponenza, dell’arroganza, dell’incapacità di accettare uno scambio di idee, di adattarsi al cambiamento interno ed esterno. Anche alle ultime elezioni presidenziali Macron è riuscito a sfangarla perché ha messo la sua persona al centro dello scontro con la destra fascista di Marine Le Pen, costringendo anche chi lo detesta a scegliere il male minore.
Ma già alle elezioni europee il suo giochino è saltato, la sua forza politica è crollata al 17% dei consensi, arrivata terza dietro la colazione del centrodestra e quella del centrosinistra. Da quel momento, invece di scendere a patti con le forze del centrosinistra che lo avevano fatto vincere alle presidenziali Macron ha deciso di puntare sulla destra e di dividere la sinistra.
Per questo ha nominato un vecchio arnese della politica caro alla destra come Michel Barnier che però ieri è stato sfiduciato dal Parlamento a stragrande maggioranza con voti di destra e di sinistra.
Perché Marine Le Pen, che ha tutto l’interesse a far crollare la popolarità di Macron a livello ancora più basso dell’attuale, non può permettere che un esponente di destra al Governo possa farle ombra: la destra deve esser rappresentata soltanto da lei.
A sinistra, invece, che al momento resiste alla divisione, il ‘comunista’ Mélenchon sta giocandosi la partita della vita, pensa che costringendo Macron a dimettersi alle successive presidenziali la sfida sarà tra due populismi: quello suo e quello della Le Pen, e che magari ripetendo la mossa di Macron, lui riuscirà a sfangarla contro la destra fascista. Così la situazione resta in stallo.
Macron nei prossimi giorni incaricherà un altro vecchio arnese della politica caro alla destra o, forse, tenterà di ‘rompere’ a sinistra con Raphael Glucksmann, fondatore del partito Place publique.
Cercherà di prendere tempo in attesa di un qualche miracolo. Miracolo che per lui potrà realizzarsi, appunto, solo con la rottura e la divisione delle forze politiche del centrosinistra. Se questo accadrà, e Macron ci lavora alla grande, a quel punto allora si potrebbe arrivare alla formazione di un governo di centro sinistra lasciando ai lati Le Pen e Mélenchon e imbarcando tutti gli altri.
Ma forse stiamo assistendo agli ultimi atti di una farsa arrivata al capolinea, e che Macron, come ha detto il grande Stanislaw Jerzy Lec, alla fine non sia ‘il gallo che canta anche la mattina che finisce in pentola’.
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